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BRACCIANTE MORTA DI FATICA, ROSSINI: “LA DIGNITÀ DEL LAVORO CONTRO UN SISTEMA CRIMINALE”

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COMUNICATO STAMPA ACLI

Roma, 24 febbraio 2017 – Una paga di 30 euro al giorno a fronte di 12 ore di lavoro. È questo il desolante quadro emerso dall’inchiesta condotta dalla procura di Trani seguita alla morte di fatica di una bracciante. “Il mio primo pensiero va a Paola Clemente –  afferma Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli – stroncata da un infarto mentre lavorava sotto un telone nelle campagne di Andria ma che, possiamo dire, uccisa da un sistema criminale di sfruttamento”.
Il “caporale” che in tre mesi, tra giugno e settembre 2015, ha sfruttato e sottopagato circa 600 lavoratrici pugliesi era un’agenzia interinale di Noicattaro, alle porte di Bari. Contratto collettivo alla mano, le lavoratrici avrebbero dovuto percepire 86 euro al giorno, cioè quasi il triplo. In tre mesi, inoltre, l’agenzia interinale non ha pagato 943 giornate lavorative.
“Questa vicenda – continua Rossini –  dimostra che alcune odiose pratiche continuano a esistere, nonostante la legge contro il caporalato abbia segnato un punto di svolta. La nostra battaglia per la legalità e la dignità del lavoro continua. Le Acli – aggiunge il presidente delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani – hanno promosso Seminiamo diritti, un progetto in collaborazione con NeXt e con la partnership del Patronato Acli, rivolto ad aziende agricole di piccola e media dimensione. L’obiettivo – spiega Rossini – è quello di contrastare il lavoro sommerso in agricoltura, attraverso percorsi di sensibilizzazione, servizi per il lavoro e creazione di un circuito di commercializzazione a prezzi equi. Si propone – conclude Rossini – di sperimentare servizi per le imprese e i lavoratori che possano essere messi a regime a fine progetto”.
Un fenomeno, quello del caporalato, non più confinato alle regioni del sud Italia ma che riguarda l’intera penisola. In Italia, sono circa 500mila i lavoratori stranieri e italiani costretti a lavorare in condizioni irregolari o, peggio, in regime di schiavitù nei campi.

Ufficio Stampa ACLI
Vincenzo Mulè
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